Ciao, questa è Chimere, la newsletter con le nasolabiali.
Oggi parliamo del tabù dell’invecchiamento femminile, avere trent’anni e ribellioni.
Partiamo.
Per una serie di sfortunate circostanze, i miei vent’anni non sono sono stati un inno alla spensieratezza e alla gioventù. Superati i ventisette, appurato che non avrei fatto parte di alcun club di compiante star, ho dato inizio con ritardo alla mia età incosciente. Perciò, piuttosto che viverlo come uno spartiacque spaventoso, l’incombente sopraggiungere dei trenta significa per me una promessa di riscatto.
La preoccupazione che accomuna molte donne riguardo l’età anagrafica, dunque, ancora non mi tocca. Sono però ben consapevole dei primi segnali di maturità che mi rivolge lo specchio: ho le prime rughe intorno alla bocca, diversi capelli bianchi e meno tono muscolare. Curiosamente, le persone che finora mi hanno fatto notare questi segnali di invecchiamento sono tutti uomini. E allora mi sono chiesta: per quale motivo queste caratteristiche, che sono mie come un neo, il colore dei miei capelli o un’ombra sul viso, sembrano interessare così tanto? E perché questo sguardo mi sembra di rivolgerlo anch’io alle mie amiche di lunga data, alla ricerca di tracce del tempo?
Come spesso mi è capitato nella vita quando ho avuto bisogno di risposte, ho interpellato Susan Sontag. Nel primo brano Invecchiare, due pesi e due misure (1972) raccolto nel saggio Sulle donne, scrive: Più che un'eventualità biologica, l’invecchiamento è un giudizio sociale. Ma è un giudizio esteso alle sole donne. Sontag spiega che questo genere di propensioni conformistiche e irriflesse contribuiscono a mantenerle nel loro stato di minorità.
La ripugnanza per l’invecchiamento femminile è la punta di diamante di una serie di strutture oppressive (spesso camuffate da galanterie) che servono a tenere le donne al loro posto.
Il motivo per cui, socialmente, siamo indotte a fare ogni sforzo per mantenerci giovani, è perché la condizione ideale prospettata per le donna è la docilità, caratteristica che si riscontra nei bambini. Convincerci che diventare delle adulte responsabili e indipendenti sia qualcosa da scongiurare è un modo per mantenerci manipolabili. Ed è per questo che il nostro valore si riduce all’aumentare dell’età.
L’invecchiamento nella donna determina una vera e propria squalifica sessuale, perché viene considerata indesiderabile molto prima degli uomini1. Laddove un uomo, infatti, acquisisce prestigio con la maturità, una sua qualunque coetanea subisce il trattamento opposto. Da ciò deriva l'urgenza di sposarsi molto giovani, perché più a lungo si rimane sul mercato, maggiore sarà la possibilità di restare zitella, la condizione considerata socialmente più umiliante. Curioso poi scoprire, dati alla mano, che la categoria di popolazione più felice è quella delle donne single e senza figlie23.
Lo stigma dell’invecchiamento femminile è così forte da essere interiorizzato: d'altronde, il modo migliore di mantenere una posizione di dominio è convincere l’oppressa che la subalternità è giustificata. Questo si evince anche nel doppio standard con cui sono giudicati i matrimoni con ampia differenza d’età: l’uomo che sposa una donna di dieci o venti anni più giovane non desta scalpore, cosa che invece accade a parti inverse: ogni matrimonio tra una donna anziana e un uomo giovane sovverte la regola su cui si fondano i rapporti tra i due sessi, secondo cui, quale che sia la differenza di aspetto, gli uomini restano dominanti.
La bellezza, nelle donne, è strettamente legata alla gioventù. Di qui lo sforzo femminile di preservare il proprio aspetto di ragazza e ritardare ogni insorgere di segni della vecchiaia. Mi ha colpito moltissimo quando Sontag scrive che le attrici sono professioniste pagate profumatamente per fare ciò che ogni donna impara a praticare da dilettante, ossia lo spropositato impiego del proprio tempo libero per cercare di essere belle. In effetti, in quante attività mi sarei potuta dilettare in quelle ore che invece ho dedicato a truccarmi, fare skincare, acconciare i capelli, o semplicemente a detestare il mio aspetto, come se fosse l’unico fattore determinante della mia esistenza e della mia persona?
Il volto è una tela su cui le donne dipingono un ritratto riveduto e corretto di se stesse.
Il vero paradosso è che gli sforzi volti a conquistare un uomo, ottenere la sua approvazione e trattenerlo per la vita, sono in un certo senso vani: a molti uomini non piacciono veramente le donne. Non si tratta di mettere in discussione l’orientamento sessuale, ma di constatare un’avversione che le priva della loro normale dignità umana, riducendole a semplici oggetti. Non ho potuto fare a meno di pensare a Schopenhauer, che nel corso della sua vita scrisse diversi trattati in merito all’odiato genere. Il suo astio ha una radice profonda: sua madre, Johanna Trosiener, era una scrittrice e aveva con Schopenhauer padre una differenza di età di vent’anni. Diventata improvvisamente vedova si trasferì a Weimar, e non solo riunì intorno a sé un circolo letterario che annoverava personalità come Goethe e Schlegel, ma accolse in casa anche un giovane amante. Schopenhauer avrebbe voluto relegare la madre al focolare domestico e alla vedovanza integerrima, ma Johanna Trosiener non permise alcuna intromissione filiale, anzi si adoperò a criticarne il carattere “assolutamente malevolo” e le tesi filosofiche. Non bisogna però immaginare Schopenhauer come qualcuno che si privasse dei piaceri della carne: semplicemente non stimava ciò da cui era attratto. Tra le sue perle, la migliore a mio avviso l’ha proferita in tarda età; innamoratosi di una scultrice, si confidò così a una sua amica: Sulle donne non ho ancora detto la mia ultima parola: credo che la donna, se riesce a staccarsi dalla massa o meglio a elevarsi al di sopra di essa, cresca ininterrottamente e più dell’uomo. Il suo personalissimo “non sei come le altre”.4
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A un certo punto Sontag scrive che, sebbene le donne povere invecchino prima delle ricche, l’angoscia della senescenza è più sentita dalla classe borghese che dalla classe operaia. Quest’ultime sono infatti più fataliste rispetto all’invecchiamento5, perché non hanno i mezzi per contrastarlo. Quando invece sei ricca, hai tutto a disposizione: chirurgia, trattamenti estetici costosi, pratiche divinatorie dal dubbio risultato, senza che però sia sufficiente.
L'oppressione patriarcale grava quindi sulle donne di tutte le classi sociali, ma colpisce esponenzialmente la classe lavoratrice, perché si sovrappone allo sfruttamento economico. È per questo che l’ondata di empatia nata dal discorso di Demi Moore ai Golden Globe mi ha suscitato qualche perplessità. Mi chiedo: in che modo posso sentirmi solidale con donne estremamente ricche e potenti, che hanno contribuito a diffondere degli standard di bellezza irraggiungibili e soffocanti? Coloro che hanno fatto ricorso a massicci interventi di chirurgia estetica6 per camuffare i segni dell’invecchiamento, fanno parte del problema? Ma, al tempo stesso, abbiamo davvero una scelta? Secondo Susan Sontag, sì. Scrive:
Ogni volta che una donna mente sull’età diventa complice del proprio sottosviluppo in quanto essere umano. Ma le donne hanno un’altra possibilità. Possono aspirare a essere sagge, e non solo gentili; competenti, e non solo servizievoli; forti, e non solo aggraziate; ambiziose per se stesse, e non solo per quel che concerne il loro rapporto con gli uomini e con i figli. Possono lasciarsi invecchiare in modo naturale e senz’alcun imbarazzo, opponendosi attivamente e disobbedendo alle convenzioni derivanti dai due pesi e dalle due misure che la nostra società implica all’invecchiamento. Anziché cercare di essere ragazze, ragazze finché è possibile, per poi invecchiare trasformandosi in umiliate donne di mezza età e, alla fine, in anziane oscene, possono diventare donne molto prima e restare adulte attive, godendo molto più a lungo della lunga vita erotica di cui sono capaci. Le donne dovrebbero permettere al loro volto di mostrare la vita che hanno vissuto. Le donne dovrebbero dire la verità.
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Mi rendo conto che non è facile. Se ripercorro la mia vita, i primi commenti riguardo il mio invecchiamento risalgono già a quando avevo venticinque anni. Perciò, essere tacciata come “complice del proprio sottosviluppo” può essere una responsabilità dura da gestire. Per Naomi Woolf, ne Il mito della bellezza, il doppio standard dell’invecchiamento è basato sulla disuguaglianza creato da questo mito. L’industria cosmetica sfrutta ampiamente questa debolezza, instillando il dubbio della piena responsabilità dell’invecchiamento. Se non hai utilizzato creme viso da giovane, normale che tu oggi abbia le rughe. Gli standard dell’avvenenza femminile si aggiornano di decennio in decennio, riducendo i chili ideali o l’età preventiva per ricorrere a interventi estetici. Oggi si parla di botox preventivo a 25 anni.
Quando mi sono spuntati i primi capelli bianchi, un paio di anni fa, mia madre mi suggerì di strapparli. Io seguii il suo consiglio, un po’ d’inerzia e senza riflettere sul gesto che stavo compiendo. Ma nell’ultimo anno, cioè il mio ventinovesimo, ho cambiato riga ai capelli e ne ho scoperto un numero ampissimo. E allora, in virtù del fatto che mi sento ancora in credito con la vita e la giovinezza, ho deciso che questa volta seguirò il suggerimento di Susan Sontag, dirò la verità e non tingerò mai i capelli. Non negherò di aver pensato con ansia alle conseguenze di questo gesto: mi creerà problemi se dovessi cambiare lavoro? Mortificano il mio aspetto? Io però voglio mostrare la vita che ho vissuto. Non sono più una bambina né una ragazza, sono adulta.
Il mito della donna bella e giovane ci illude che ci sia qualche vincitrice, lì fuori. Qualcuna che nasce fortunata e ottiene quello che desidera in virtù del proprio aspetto. Ma non si vince mai aderendo a regole oppressive, competendo per ottenere le briciole di un sistema che assoggetta; si vince solo rifiutando di farsi intrappolare. Vivendo appieno e abbastanza da avere il privilegio di invecchiare. Lasciare che le rughe testimonino l’esperienza accumulata.
Il 2024 è stato il mio ultimo anno da ventenne, non sono mai stata più ventenne di quest'anno. L’ho scritto nella didascalia di una foto che ho condiviso su Instagram. Un mio conoscente coetaneo, incontrato qualche giorno dopo, mi ha schernita commentando così quella frase: quindi ti senti una giovincella a trent’anni?
Gli ho sorriso e risposto: sì.
Qualche link prima di andare:
La newsletter di Nina che propone di invecchiare sovversivamente.
Un pezzo di Lidia Ravera, pubblicato su Lucy, che si intitola Fare l’amore da vecchi.
Video di Irene Graziosi sulla storia della chirurgia estetica.
Per oggi è tutto.
Grazie per avermi letto, e butta quella crema al retinolo.
Il che è paradossale per un altro verso: poiché alle donne è precluso dare libero sfogo alla propria energia sessuale nei modi concessi agli uomini, a molte di loro occorre tantissimo tempo per superare certi inibizioni. Spesso, si superano queste freni solo dopo i trenta anni.
Questa newsletter utilizza il femminile sovraesteso.
Come osservato da Germaine Greer, nel suo L’eunuco femmina (1970), il femminile è liscio, tornito, glabro, privo di rughe, morbido, poco muscoloso: i tratti dell’eunuco.
Dall’introduzione di Franco Volpi all’edizione Einaudi di L’arte di trattare le donne, Schopenhauer.
Postilla doverosa: il timore dell’invecchiamento qui sviscerato non ha nulla a che fare con la fine della fertilità, poiché la preoccupazione sorge ben prima della menopausa. Sontag la cita una volta sola, nel suo essai. Quel periodo della vita di una donna è, se possibile, ancora più stigmatizzante, ma il fatto che i due argomenti non siano strettamente collegati sottolinea quanto la fine della giovinezza sia un falso problema, indotto allo scopo di controllo.
In linea di massima non sono contraria alla chirurgia estetica e ho spesso fantasticato di sottopormi a qualche intervento migliorativo. Una volta ho persino preso appuntamento da un costosissimo studio di Milano (poi disdetto). Ciò che mi mette in allarme è la motivazione che è dietro quel bisogno: il senso di inadeguatezza. Questo mi suggerisce che non sia un desiderio autentico -come potrebbe essere quello di mangiare un bel gelato- ma indotto da forze esterne.
Io ho scelto di non tingermi i capelli (a parte un paio di fallimentari tentativi abbandonati subito). Per onestà intellettuale va detto che A) la scelta è stata dettata primariamente dalla mia avversione per i parrucchieri in generale (mi da fastidio essere toccata in testa); B) ho 44 anni e i primi bianchi si sono cominciati a vedere una decina di anni fa. C) il mio colore naturale è abbastanza chiaro, quindi non sono così evidenti come se fossi mora. Detto ciò, si vedono. E ho ricevuto e continuo a ricevere critiche (mascherate da consigli il più delle volte), sia da uomini che da donne. “Rischi di sembrare sciatta. Guarda che lo dico per te”. Grazie ma no grazie.
Grazie delle riflessioni. Io ho compiuto 60 anni. Sto bene, sono in forma. Mai tinta i capelli, mai fatto ritocchi. Appartengo a quella classe che non ha troppi soldi da spendere per l'estetica. Ho avuto 4 figli e ora vorrei pensare un po' a me stessa, ma, spoiler, ho percepito fortemente che dopo i sessanta cominci a diventare invisibile ai più. Anche alle giovani donne.
Le giovani ne tengano conto. È una nuova condizione da affrontare.
E io, in verità, mi sono già rotta le scatole e sono anche seccata.