Ciao, questa è Chimere, la newsletter che si sdoppia.
Oggi parliamo di doppelgänger, pratiche propiziatorie e buoni propositi.
Partiamo.
C'è un sito che mi piace molto, si chiama futureme, dove è possibile spedire delle mail a se stessi. Il concetto è molto banale, sono delle mail programmate che puoi scegliere di farti destinare dopo mesi, anni o in una data specifica.
Io ho cominciato a utilizzarlo da circa due anni e da allora ho cestinato tutti i miei diari: un bel giorno li ho raccolti, messi in una grossa borsa di carta e spedito al macero centinaia di pagine scritte.
Questo gesto inconsulto ha due motivazioni, una di tipo terapeutica: ho sentito il bisogno di distaccarmi dalla persona che ero; una di tipo paranoide: a un certo punto ho reputato intollerabile l’idea che, in caso di mia morte improvvisa, tutti i miei segreti più intimi potessero esser letti da chi mi sopravvive. Quei miei scritti erano pregni di fragilità, rancori e bassezze; di rado nei periodi felici mi prendevo del tempo per raccontarmi. Scrivo solo cose tristi perché quando sono felice esco1.
Quei diari erano, a tutti gli effetti, una cronaca di me stessa lungo gli anni. Le mail, invece, mi sembrano dei dialoghi: spedendomene una alla volta, e sporadicamente, a chiacchierare siamo solo io e quella specifica Martina del 4 febbraio 2023 o del 25 settembre 2024. Lei (io del passato) pone delle domande, io (nel presente, suo futuro) provo a dare delle risposte. O a dirle: ma no, guarda, ‘sta roba non è proprio più tua. O ancora: beh, guarda qui, abbiamo un'altra questione da affrontare. E questo sforzo è curioso, perché le risposte quella mia versione non le riceverà mai. Scrivermi funge quasi come implicita richiesta di indizi dalla figura enigmatica che mi sta davanti, per scorgere qualche piccola anticipazione della persona che sto diventando. Bonus: nessuno all’infuori di me può accedere alla casella di posta.
Il quadro di cui sopra, Portrait of an Artist (Pool with Two Figures), nella serie TV Bojack Horseman è replicato quasi fedelmente, ma lì vi sono due Bojack. Nella versione originale, in realtà, David Hockney ha ritratto due figure distinte, di cui una ha le sembianze del suo compagno. Ma per me, quel quadro, ha sempre rappresentato la stessa persona: una in piedi, l'altra in acqua. In questo dialogo con me stessa la figura in piedi sono io che leggo, che ho visione, so cosa è accaduto; quella che nuota sono io che scrivo, che cerco una direzione, interrogo il fondale perché non posso guardare chi sarò, non ancora, perché non esiste. Anche scrivendo questo pezzo mi rendo conto che sono “io” nella mia versione presente, e sempre “lei” nelle mie versioni del passato o del futuro. Un doppio dislocato nel tempo.
Rifletto spesso sul significato che ha per me questa pratica. Nonostante nella forma siano simili, scrivere sul diario e scrivere queste mail sono frutto di meccanismi mentali diversi. Mi sono interrogata su quale sia, di preciso, il beneficio che ne traggo (o penso di trarne), perché in realtà ogni volta che mi scrivo si insinua nella mia mente un pensiero ansioso e sibillino: e se non sopravvivessi fino alla ricezione della mail? Allora, per aumentare le probabilità di trovarmi viva, tendo a scegliere una data che non superi i 12 mesi. L’altro motivo per cui non oso superare quella soglia è che nutro un timore reverenziale verso il contenuto, come se avesse un qualche potere propiziatorio. Queste mail sono quindi, forse, una sorta di manifesting? Sto cercando di ingraziarmi l’universo, le divinità o chi per loro, affinché abbia solo botte di culo?
Pochi giorni fa ho ricevuto dalla mia versione del 2024 un resoconto di crucci, speranze e dispiaceri, oggi tutti felicemente risolti. Ho provato un gran sollievo; ma come mi sarei sentita, invece, se quella mail mi avesse trovata più infelice, con questioni ancora irrisolte?
In effetti, in questi due anni di dialoghi è accaduto anche che ricevessi una mail rosea in un momento nero. Non è stato granché piacevole. Ho come l’impressione che superando i 12 mesi di distacco aumentino anche le probabilità di scovarmi infelice. Mi piacerebbe molto, ora che sto per compiere trent’anni, scrivere al mio doppio quarantenne, ma che paura affacciarmi oltre un orizzonte così distante. Non ho potuto fare a meno di pensare a The Substance (Coralie Fargeat - 2024): chissà se ricevendo una mail da una versione più giovane e felice non finisca per detestarmi. Questa non è una sensazione inedita; è già capitato, purtroppo, di guardarmi indietro e rimproverare alla mia versione più giovane scelte e direzioni prese.
Il doppio nelle opere artistiche è spesso un elemento sinistro, una figura che incarna la pulsione di morte. Nel romanzo O homem duplicado di José Saramago, Tertuliano Máximo Afonso, comune professore di storia, scopre in circostanze casuali che esiste un uomo identico a lui: l’attore Antonio Claro. Nonostante l'angoscia della scoperta, Tertuliano Máximo Afonso prova una morbosa necessità di indagare e decide di incontrarlo. Il primo dialogo tra loro è ricco di tensione, come se la scioccante conformità dell’uno avesse rubato qualche cosa all’identità propria dell’altro. Il sosia è una minaccia alla propria unicità, tra di loro si innesca una competizione rancorosa volta a individuare chi, tra i due, è il duplicato:
[…] io sono pienamente d’accordo con lei, uno di noi è di troppo a questo mondo, il problema sarebbe già risolto se la pistola che ho portato con me quando ci siamo incontrati fosse stata carica e io avessi avuto il coraggio di sparare.
Interessante notare come nelle opere che narrano di doppio vi è spesso un’attrice. In Persona (Bergman - 1966) tra Elisabeth, chiusa nel suo mutismo incomprensibile, e la donna chiamata ad accudirla, Alma, avviene un vero e proprio scambio di ruolo. Lo stesso titolo del film è il latino per “maschera”, suggerendo un altro da sé che Alma finisce per assorbire, come conseguenza dello stretto contatto con la donna impenetrabile che ha accanto. Un processo simile avviene in May December (Haynes - 2023) dove l’attrice Elizabeth trascorre diversi mesi a stretto contatto con Gracie, al fine di interpretarla al meglio nel film ispirato alla sua vita2. Elizabeth non si limita a osservare e intervistare Gracie, ma tenta di assorbirne l’essenza imitando i suoi comportamenti, anche i più turpi.
Citando di nuovo Saramago, Antonio Claro descrive Tertuliano Máximo Afonso come un’immagine permanente di me stesso in uno specchio in cui non mi sto guardando. Lo specchio è ovviamente un topos frequentissimo nelle opere che narrano di doppio. Gran parte delle volte che vediamo il volto di Natalie Portman in Black Swan (Aronofsky - 2010) è proprio tramite specchi: dal suo riflesso spiamo la sua vita, intuiamo la lenta e costante ascesa del suo disagio psichico. Quando, al culmine del suo delirio, pugnala con un frammento di specchio la rivale (e alter ego) Mila Kunis, la ferita si riflette identica sul suo ventre. Similmente accade in Der Student von Prag (Rye - 1913); il giovane Balduin vende il suo riflesso per denaro, con lo scopo di conquistare la donna di cui è innamorato, ma il suo doppio, presa vita, comincia a sabotare il suo originario proprietario. Anche in questo caso, l’omicidio del doppelgänger sancisce la morte di Balduin.
Chissà chi è il doppio, Martina che scrive, Martina che legge o Martina che ancora deve diventare? Nessuna di queste, però, mi sembra al momento una figura minacciosa. Piuttosto, a volte, temo che questo dialogo stia diventando una pressione a un perpetuo miglioramento. Ma non è quello che realisticamente può offrirci la vita, che assomiglia piuttosto a una grossa macedonia; delle volte peschi una fragola, altre volte peschi un ananas (abbasso gli ananas).
In Intermezzo di Sally Rooney c’è una scena in cui Margareth, una delle protagoniste3, indugia a raccontare a una sua amica di un incontro che le è capitato, e una volta rientrata a casa, da sola, pensa: ma se non lo racconto a nessuno, è veramente successo? Oppure è un sogno? Tacendo sente di mettere in discussione i confini del reale:
Is there even a reality left there, something that in fact did happen? The way a dream, untold, vanishes, never having taken place to begin with. Better perhaps in this case: attached to the corner of no reality, shared with no one, vanishing into nothingness.
Questo è un concetto che ha sempre abitato i miei pensieri: verbalizzare ciò che mi passa per la testa lo rende vero. Non perché lo legga qualcuno altro da me, ma perché prende una forma materiale (che siano byte o tracce di inchiostro, poco importa). Scrivendo a una versione futura di me, augurandomi che certe cose accadano, forse, cerco di materializzare il mio doppio, nella forma che più mi aggrada. Allora non è troppo strambo associare questa mia pratica a una forma di manifesting. Cestinando i miei diari, ho catarticamente spazzato via quelle sensazioni, perché brutte. Scrivere in quella forma aveva perso ogni tipo di presunto beneficio terapeutico, quel dolore che narravo rimbalzava contro il niente, le parole si sedimentavano senza nessun sbocco e diventavano più vere e feroci. Delle volte ci penso ancora, a quella decisione lì: raccogliere i diari, gettarli via, negare in un certo senso tutta una fetta della mia esistenza. Non so quanto sia stato giusto, forse è un altro modo che ho di fuggire dalle emozioni negative. Come forse non è giusto neanche ridurre la riflessione di sé a un intimo dialogo a due, quasi un palliativo della mia ora di terapia. Ma sento in questo modo di essere stata e di essere fedele a me stessa. Se ho capito qualcosa in questi miei anni trascorsi sulla terra è che, spesso, la chiave per la serenità sta nel darsi credito, ascoltarsi, fare un po’ quello che ci va.
Sto scrivendo questo pezzo nei primi giorni di gennaio, che per me è un mese molto energico. Come tanti, perdo tempo a fare bilanci, buoni propositi, cerco di tracciare un sentiero che mi guidi durante l’anno appena cominciato. Il mio grado di tolleranza nel rispetto di certi piani è varia: alcuni sono dei fioretti, quindi massima indulgenza, altri dei desideri, quindi se non si dovessero realizzare mi comporto come l’adulta che sono e fantastico di buttarmi di sotto. All’alba di ogni nuovo anno mi capita di scrivere al mio doppio almeno una mail, per tastare un po’ il terreno. Per il 2025 i buoni propositi sono: iscrivermi in piscina, prenotare tutte le visite mediche che rimando da un po’, fare più volontariato, smettere di fumare (sul serio); desideri: fare un viaggio da sola, trovare un lavoro nuovo, dirmi parole più gentili.
In una delle prime mail che mi sono scritta avevo chiuso con: Che bello sapere che ci sei tu ad aspettarmi. Non vedo l’ora di conoscerti. Quando l’ho letta mi sono quasi commossa. Anche stavolta l’augurio è lo stesso: chissà quante cose ci aspettano Martina, sono felice di diventare te. Ma smettila di fumare.
Per approfondire sul doppio in letteratura:
Ne I baffi di Carrère il doppio è la versione di se stessi che nessuno sembra ricordare. Per il tema “altro da s'è”, esempio autorevole è anche Fight Club di Palahniuk.
Due grandi classici: il Ritratto di Dorian Gray di Oscar Wilde e Il sosia di Dostoevskij.
Angolo film:
Lo studente di Praga (1913) è disponibile su YT!
Dal romanzo qui citato L’uomo duplicato è stato anche tratto un thriller, Enemy (2013) con quel bel manzo di Jake Gyllenhaal.
Coralie Fargeat ha diretto un corto, dieci anni prima di The Substance, che anticipa molti dei temi lì sviluppati. Ora su Mubi.
Per oggi è tutto. Grazie per aver letto fin qui.
A presto, spero.
Questa citazione viene attribuita, a ruota, a: Luigi Tenco, Bruno Lauzi, Sergio Endrigo. A voi la scelta.
Il personaggio di Gracie è ispirato a Mary Kay Letourneau, insegnante statunitense nota alla cronaca per aver adescato un suo alunno minorenne, Vili Fualaau, in seguito divenuto suo marito.
Questa newsletter usa il femminile sovraesteso.